Emergenza coronavirus, il caso delle visite a domicilio a pazienti Covid. Nel Lazio il Tar ha ‘fermato’ i medici di medicina generale accogliendone il ricorso.
Nella nuova fase dell’emergenza coronavirus tiene banco, in diverse zone d’Italia, il caso delle visite a domicilio dei pazienti Covid.
Le polemiche erano iniziate dopo che era stato reso noto il tariffario del San Raffaele: 450 euro. Molti hanno parlato di speculazione sui malati e sulla situazione emergenziale, ma siamo di fronte ad un caso decisamente più complesso di quanto possa sembrare.
L’assistenza a domicilio nel Lazio: il Tar accoglie il ricorso dei medici
Nel Lazio il Tar ha reso noto che affidare ai medici di medicina generale il compito di assistenza domiciliare ai malati Covid è evidentemente in contrasto con i protocolli in essere e le normative in vigore in questo stato di emergenza.
Quindi il Tar del Lazio accoglie, almeno parzialmente, il ricorso presentato dal Sindacato dei Medici Italiani contro alcune disposizioni varate proprio dalla Regione Lazio.
Il Tar rende noto che l’assistenza domiciliare spetta all’Usca. Stiamo parlando delle Unità Speciali di Continuità Assistenziali, squadre istituite dalle aziende sanitarie. E il loro compito è proprio quello di prestare assistenza a domicilio.
Per quanto riguarda il Lazio la partita resta aperta, alla luce del fatto che la Regione ha deciso di presentare ricorso contro la decisione dei giudici.
Covid, assistenza domiciliare: il caso del San Raffaele di Milano
Se nel Lazio siamo di fronte ad una situazione di incertezza su chi debba procedere con le visite a domicilio, a Milano siamo già nella fase successiva, ossia quella delle polemiche.
Come anticipato, il caso è quello del San Raffaele, che offre un primo consulto a distanza al costo di novanta euro, e poi nel caso il paziente necessiti di una visita da vicino ha la possibilità di richiedere la visita a domicilio con un pacchetto da 450 euro.
Il pacchetto in questione prevede il prelievo, la radiografia, la misurazione della saturazione e ovviamente il referto conclusivo.
Evidentemente le polemiche sono legate al costo della prestazione. Sia chiaro, non siamo di fronte ad un servizio obbligatorio, quindi il problema non è di questo tipo. Più che altro il problema è legato al fatto che, sostengono i critici, chi ha i soldi viene curato con tutti i riguardi, chi non li ha… no.
E anche qui tornano in questione le famose USCA di cui sopra. Non riuscendo a far fronte alla domanda e alle richieste, di fatto le Usca cedono il passo ai privati che sono andati ad occupare un vuoto nella macchina dell’assistenza. Bravi i privati ad approfittare ancora una volta di una falla del sistema sanitario.
“Il pubblico arranca e il privato ingrassa, ma il vero problema è a monte. Il privato risponde a una mancanza inaccettabile, ovvero alle carenze dell’assistenza domiciliare. Regione Lombardia deve necessariamente potenziare la medicina territoriale, altrimenti la gente si sente abbandonata a casa e i possibili esiti sono due. Chi può permetterselo ricorre al privato, accettando tariffe che a mio giudizio gridano vendetta, e chi non può si presenta nei Pronto soccorso, intasandoli ulteriormente“, ha sottolineato il consigliere regionale del Pd Matteo Piloni in un ragionamento largamente condiviso e condivisibile.
Il San Raffaele ovviamente ha risposto alle accuse evidenziando come il costo del pacchetto sia inferiore a quello di una normale visita in ospedale.