Clamorosa possibile svolta sul caso del Mostro di Firenze: il Dna “sconosciuto” su un proiettile sembra poter cambiare tutto.
Potrebbe riaprirsi la caccia al Mostro di Firenze. Il colpo di scena è arrivato dal ritrovamente del Dna sconosciuto su uno dei proiettili usati nell’omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, le ultime vittime attribuite appunto al killer. Si tratterebbe di un Dna che sarebbe stato ritrovato anche sui proiettili di altri due delitti.
![cadavere nella scena del crimine](https://newsmondo.it/wp-content/uploads/2023/10/SH_scena_crimine_cadavere_prove_scientifica.jpg)
Mostro di Firenze, il Dna “sconosciuto” riapre la caccia
il Mostro di Firenze commise sette duplici omicidi dopo quello di Antonino Lo Bianco e Barbara Locci a lui attribuito. Tutti avvennero dal 1974 al 1985. L’arma con cui si compirono i delitti non fu mai ritrovata a differenza di un proiettile che diventò parte delle prove nei confronti di Pietro Pacciani, da sempre ritenuto il mostro e morto in attesa del processo d’appello dopo l’annullamento della sua assoluzione da parte della Cassazione. Insieme a lui, anche Mario Vanni e Giancarlo Lotti vennero condannati all’ergastolo e a 26 anni di reclusione.
Adesso, però, la possibile svolta clamorosa relativa al Dna di uno sconosciuto che potrebbe riaprire l’inchiesta che è durata oltre vent’anni. Tale traccia è stata rinvenuta, come detto, su un proiettile conficcato nel cuscino della tenda di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, presumibilmente le due ultime vittime del mostro, uccise a Scopeti, e ricorre in modo parziale anche sui proiettili di altri due duplici omicidi.
Parla l’esperto
Il proiettile è stato denominato V3 ed è stato esaminato nel 2018 da una équipe guidata dal genetista Ugo Ricci. La squadra di medici ha individuato un profilo ricorrente, mescolato a un secondo profilo sconosciuto. Sul tema ha parlato a Repubblica l’esperto ematologo Lorenzo Iovino che ha analizzato le sequenze del Dna. “Il secondo Dna sul reperto V3 non solo non è compatibile con quello delle vittime e del secondo perito balistico che aveva maneggiato il reperto, ma neanche con quello di alcuni indagati, o delle tracce di Dna di altri sconosciuti isolate da Ricci sui pantaloni di Jean Michel e sulla tenda”, ha detto.
“Il Dna dell’assassino potrebbe essere rimasto impresso mentre incamerava i proiettili. Alcuni delitti (come il primo del 1968) non sono stati coperti da giudicato, e le sentenze stesse hanno ipotizzato una pluralità di attori. Per questo sarebbe fondamentale utilizzare a pieno i risultati delle consulenze genetiche già svolte”.
Iovino ha sottolineato come è possibile che con le nuove analisi sul Dna si possa anche non trovare nulla ma “nei casi non risolti bisogna tentare tutto il tentabile. Confrontandomi con esperti del settore medico-legale, confermo che la ripetizione dell’autopsia è altamente auspicabile”, il commento di Iovino a Repubblica.