Bonus madri lavoratrici: il governo lancia un segnale, ma il sostegno resta debole. La situazione.
Un incentivo da 40 euro al mese per le madri lavoratrici con almeno due figli: è questa la misura approvata dal Consiglio dei Ministri il 20 giugno, come ampliamento del bonus già previsto dalla legge di bilancio. Il contributo, esentasse, sarà versato in un’unica soluzione a fine 2025. Un’iniziativa che il governo presenta come un segnale a favore della natalità, ma che rischia di restare poco più che simbolica. Vediamo insieme lo stato attuale delle cose.
Bonus madri lavoratrici, un aiuto che non aiuta molto le famiglie
Il bonus madri lavoratrici ammonta a 480 euro l’anno e sarà rivolto alle donne con due o più figli, a condizione che il più piccolo non abbia compiuto dieci anni. Potranno ottenerlo, inoltre, anche le lavoratrici autonome e quelle con contratti a termine.

La decisione di effettuare l’erogazione del contributo nel corso del mese di dicembre 2025 non permette alle famiglie di gestire al meglio tale agevolazione, in quanto, già da ora, molte famiglie faticano a far quadrare i conti mese per mese: pertanto, la somma una tantum ha un impatto limitato.
Lo riconoscono anche diverse realtà associative, secondo cui il bonus, anche se positivo, per certi aspetti, non va a sciogliere i nodi strutturali del problema, in quanto non è tenuta in considerazione una progettualità di lungo periodo. Inoltre, mancano misure integrate, ad esempio l’accesso gratuito agli asili nido, i congedi parentali bilanciati ed orari di lavoro flessibili.
Precari e famiglie numerose, il peso delle esclusioni
Nel pacchetto approvato dal governo rientra anche la proroga fino al 2026 degli incentivi per le madri con almeno tre figli.
In questo caso, però, il vincolo è più restrittivo: il contributo, infatti, spetta solo a chi è assunta con contratto a tempo indeterminato. Le altre lavoratrici, comprese quelle con contratti precari, dovranno accontentarsi dei 480 euro. Una distinzione che fa emergere una serie di critiche, soprattutto perché rischia di escludere proprio le categorie più fragili del mondo del lavoro femminile.
Resta da considerare, infine, una questione culturale: la misura è rivolta esclusivamente alle madri.
Se da un lato questo riflette la realtà di un Paese in cui le donne sostengono ancora il peso maggiore della cura familiare, dall’altro manca un segnale di coinvolgimento dei padri. Nei fatti, d’altronde, non vi sono incentivi alla genitorialità condivisa.