Laura, la 30enne costretta ad ascoltare il battito del suo feto

Laura, la 30enne costretta ad ascoltare il battito del suo feto

La storia di Laura e del suo feto. Costretta ad ascoltare il battito e antidolorifici negati dopo l’operazione.

Una storia priva di sensibilità, prima di diritti umani che si scontra ancora una volta contro la realtà dell’aborto in Italia. Ogni donna dovrebbe decidere cosa fare del proprio corpo, del proprio feto, della vita di quel bambino predestinata a vivere nella malattia. Quella di Laura è una storia che risale al 2020, ma che purtroppo non è l’unica ad essere venuta a galla.

Ospedale

Polemiche sul diritto all’aborto, soprattutto in alcune regioni d’Italia. Di recente sono state raccontate storie di alcune donne che sono state costrette ad ascoltare il battito del feto che portano in grembo. La notizia è stata denunciata dalla sinistra rossoverde in una conferenza stampa tenutasi il mese scorso a Montecitorio.

La storia di Laura

Ecco la storia di Laura, una ragazza di 30 anni che, nel 2020, scoperto che il feto che portava in grembo fosse affetto dalla sindrome di Down. Ha deciso quindi di procedere con un aborto terapeutico alla 22esima settimana, ma il personale che ha incontrato in ospedale non è stato dei migliori.

La ragazza racconta che senza che le fosse detto nulla, una dottoressa l’ha portata in una stanza per fare un’ecografia. “Ho chiesto alla dottoressa quale fosse il senso dato che l’amniocentesi e tutti gli esami avevano accertato la Trisomia 21, mi ha risposto che era prassi e voleva controllare anche lei. A un certo punto ha messo il battito”. Secondo la dottoressa, la bambina stava bene e la donna stava abortendo “a sua discrezione”.

Nessuna sensibilità nei confronti di Laura che, nonostante volesse quella bambina, ha deciso di abortire a causa della malattia. Nessun supporto, neanche dal medico che ha abbandonato il caso dicendo alla coppia di recarsi in un’altra struttura se avessero voluto abortire. Dopo l’accaduto ha deciso di far parte della campagna lanciata da “Obiezione respinta”.

Antidolorifici post-aborto negati

Laura è subito andata da una psicologa, la quale le disse che “avendo un caso di sindrome di Down in famiglia avrei dovuto aspettarmelo che poteva succedere anche a me”. Ma l’evento non è dipeso assolutamente da un fattore ereditario. Dolore su dolore per l’anima della 30enne che ha dovuto sopportare diverse angherie.

Il giorno dell’aborto Laura ha avuto dolori lancinanti ma non gli hanno permesso di assumere antidolorifici. Dopo l’espulsione del feto non è stata espulsa la placenta, cosa che le ha causato molti dolori fino al momento del raschiamento. “La ginecologa mi ha chiesto se volevo essere ricoverata, le ho risposto che volevo tornare immediatamente a casa mia. La bambina? Non mi hanno chiesto se volevo vederla, l’hanno messa in un contenitore di plastica e l’hanno portata via”.

Nessuna ragazza è stata seguita dopo la fase dell’aborto. Laura dichiara: “Nessuno mi diceva cosa potevo fare per alleviare il dolore, per provare a stare meglio. Non ho avuto mezza parola di conforto. Mi chiedo perché quando una donna partorisce le viene consentito di avere qualcuno accanto, come una mamma, mentre chi abortisce viene lasciata sola”.