Indagini sulla morte di Borsellino, indagati i due pm che seguirono il caso della strage di via D’Amelio. L’inchiesta è legata al processo Quater.
Torna a tingersi di giallo la morte di Paolo Borsellino, con una nuova svolta nell’inchiesta sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice e cinque uomini della sua scorta. La Procura di Messina ha iscritto nel registro degli indagati i due pm che seguirono le indagini del 1992.
Nello specifico i due indagati raccolsero le testimonianze di un finto pentito costretto a fare i nomi di persone che, appartenenti alla mala vita, non erano coinvolte con l’uccisione del giudice, o almeno non in maniera determinante.
Morte Borsellino, indagati due pm accusati di calunnia aggravata per i depistaggi sulle indagini sulla strage di Via D’amelio
I nomi dei pm sono quelli di Annamaria Palma e Carmelo Petralia, entrambi accusati di calunnia aggravata. Le indagini si collegano al processo Borsellino Quater.
Nella sentenza del processo i giudici avevano segnalato un’opera di depistaggio nel corso delle indagini sulla morte di Borsellino. Il processo si concluse con tre poliziotti incriminati.
Proprio dalle carte dei giudici emerse con prepotenza il sospetto che anche nella magistratura potessero esserci state delle mancanze pilotate o volontarie.
Il sospetto è che nel depistaggio delle indagini non siano coinvolti solo alcuni agenti della polizia ma anche alcuni pm.
I due indagati raccolsero le false dichiarazioni di un pentito che sarebbe stato costretto a mentire.
Il commento della figlia minore di Paolo Borsellino
“Mio padre è stato lasciato solo, sia da vivo che da morto. C’è stata una responsabilità collettiva da parte di magistrati che nei primi anni dopo la strage hanno sbagliato a Caltanissetta con comportamenti contra legge e che ad oggi non sono mai stati perseguiti né da un punto di vista giudiziario né disciplinare”, ha dichiarato la figlia di Borsellino come riportato dall’Adnkronos.
Depistaggio Borsellino: “Ho collaborato perché in carcere subivo terrorismo psicologico”
“In carcere subito terrorismo psicologico, per questo ho collaborato“. A dirlo è Vincenzo Sacrantino, l’uomo che si è autoaccusato del furto della Fiat 126 poi trasformata in autobomba usata per uccidere Paolo Borsellino.