Il tema dell’eutanasia è sempre attuale. Specialmente nel caso della morte di Antonio La Forgia, avvenuta nella notte dell’8 giugno.
L’eutanasia dovrebbe essere garantita a tutti. Purtroppo, l’avanzamento sociale italiano è problematico, in quanto va a rilento per molte ragioni. Una classe politica retrograda, ingerenze vaticane subdole e silenti. Questi due dei principali motivi legati all’immobilismo italiano per quanto riguarda il tema del fine vita. Ebbene, nella notte dell’8 giugno, si è spento Antonio La Forgia, ex presidente della Regione Emilia-Romagna. La moglie, Maria Chiara Risoldi, ha raccontato l’addio al suo amato Antonio, condannando lo Stato italiano per la sua mancanza di leggi che permettano a chi soffre di terminare il proprio dolore una volta per tutte.
Il post della moglie
“Un dolore troppo lungo. Quadro clinico del 6 giugno 2022. Una metastasi in D10 e sulle costole, raggiunto il midollo, causava una paraplegia, altre sparse lungo la colonna, causavano un dolore in crescita esponenziale non contenibile con la terapia antalgica che non riusciva a tenere il passo con l’aumento dello stesso. Antonio si confronta con la famiglia allargata, a cui è consapevole di arrecare un dolore, ma da cui riceve sostegno e solidarietà e decide di avvalersi della legge 219/2017 rifiutando e sospendendo qualsiasi terapia, ivi incluse quelle salvavita”. Questo l’incipit del post di Maria Chiara Risoldi.
“Effetto diretto del rifiuto o della sospensione di terapie salvavita, è la morte. Questa, a seconda del trattamento rifiutato o sospeso, non sempre è rapida. Per evitare dolore, nella fase terminale che si viene a creare con il rifiuto o l’interruzione di terapie salvavita, il medico può aiutare il paziente attraverso una sedazione palliativa profonda continua. Quello che la legge non contempla è la possibilità di mettere fine alla propria vita in breve tempo. Antonio 27 ore fa viene sedato. Gli ultimi quindici minuti ci salutiamo noi“.
La parte finale del post di Maria Chiara Risoldi è veramente commovente, in quanto racconta il rapporto d’amore vissuto con il marito e la sofferenza legata all’impossibilità di lasciarlo andare subito, data la sua sofferenza. “Trentatré anni di vita assieme, un saluto scherzoso. “Tu lassù non sedurre troppe signore”. “Quando sarà il momento ti verrò a prendere” sono le ultime parole sussurrate, mentre gli occhi si chiudono. La mente ironica e brillante di Antonio non c’è più. In una stanza della casa c’è un letto ospedaliero, a fianco le sedie. La famiglia allargata si alterna a fargli compagnia. Ci sente? Soffre? Il viso rilassato fa pensare di no. Ma il respiro è faticoso. Intanto si fa colazione, si pranza, si cena, ci si alterna a dargli carezze. Quel congedo sereno, amorevole, perfino allegro dopo 26 ore per i familiari assume le sembianze di una inutile tortura”.