Perché le correnti non verranno mai abolite da nessuno

Perché le correnti non verranno mai abolite da nessuno

Lo scontro interno al PD è figlio di una mentalità profondamente radicata nella politica italiana, fin dalla Prima Repubblica

Il nuovo PD guidato da Elly Schlein era stato annunciato all’insegna della concordia, senza più correnti interne. E qual è la prima novità? La nascita di una nuova corrente: i “neoulivisti” che, pur avendo sostenuto Stefano Bonaccini, predicano unitarietà nella gestione del partito. A rendere il tutto ancora più curioso è che nella neonata “area” del partito ci sia anche Pina Picierno, che si era candidata in ticket con Bonaccini, per farne la vice in caso di vittoria, e che adesso probabilmente intravede all’orizzonte un posto nella segreteria-Schlein.

D’altra parte, che il PD fosse dilaniato in una suddivisione tra aree e leader di riferimento era cosa nota a tutti, nonché la causa del suo crollo nei sondaggi. Elly Schlein è stata chiamata a cambiare tutto, ma già il suo accordo post-primarie con Bonaccini era chiaramente un ritorno al passato, come Newsmondo.it vi aveva anticipato in questo editoriale.

Non che negli altri partiti la situazione sia diversa. La riorganizzazione di Forza Italia corrisponde all’esito di uno scontro tra l’area che fa riferimento ad Antonio Tajani e Marta Fascina, a discapito di quella di Licia Ronzulli, estromessa dal cerchio magico di Silvio Berlusconi. Persino in Fratelli d’Italia, un tempo monolitica, la conquista del potere sta facendo nascere fazioni che fanno riferimento ai vari big del partito, mentre nella Lega cova il malcontento di chi preferirebbe Luca Zaia alla linea nazionalista di Matteo Salvini e dei nostalgici di Umberto Bossi, che si commuovono ripensando alle battaglie per la secessione. Il M5S, che si presentava come un “non-partito”, è arrivato persino a vietare le correnti nel suo “non statuto”. Eppure le correnti sono nate eccome, fino al punto di sfociare in numerose uscite dal movimento e persino nella clamorosa scissione di Luigi Di Maio.

Silvio Berlusconi

Così le correnti PCI e DC hanno fatto la storia della Prima Repubblica

Dividersi in gruppi, anche all’interno della stessa famiglia ideologica, è un classico del dibattito politico in Italia, dove quando due persone iniziano a discutere intorno a un tavolo, ci sono almeno tre pensieri diversi all’ordine del giorno. Non a caso, le correnti hanno fatto la storia della Repubblica Italiana, fin dalla sua nascita. Non in maniera plateale come il PD, ma anche i progenitori del Partito Comunista Italiano hanno dato a vita a correnti, nonostante un preciso divieto statutario: tra i “miglioristi” che rappresentavano la destra del partito, aperta al confronto con il PSI di Bettino Craxi, e la sinistra filo-sovietica guidata da Armando Cossutta c’era un centro rappresentato dall’area guidata da Enrico Berlinguer, per citare solo le anime principali.

Persino più frastagliata al suo interno è stata la Democrazia Cristiana, che, secondo un parere condiviso da molti politologi, è riuscita a governare l’Italia per mezzo secolo proprio grazie all’equilibrio raggiunto tra le sue varie componenti. Le correnti diccì sono entrate nella storia patria con un alone mitologico, non certo immeritato. Ognuna di esse faceva esplicito riferimento a un leader carismatico, da Giulio Andreotti (che guardava a destra) ad Amintore Fanfani (che, insieme ad Aldo Moro, guardava invece a sinistra). Per quanto ognuna di esse esprimesse un diverso orientamento interno al partito – dal cattolicesimo sociale al timore nei confronti dell’avanzata del comunismo – l’aspetto personalistico è sempre stato molto forte, al punto da aprire a una deriva nella quale ogni corrente rappresenta non tanto un’idea, quanto gli interessi del proprio gruppo di riferimento.

Matteo Renzi

Quando la politica si divide anche all’interno della stessa corrente: i renziani della prima e seconda ora

Gli stessi nomi scelti da questi sottogruppi dicono molto della loro identità. Un capolavoro di fantasia, a metà anni ’80, fu la fondazione della Corrente del Golfo che, mutuando il nome dalle acque calde del Oceano Atlantico di fronte al Messico, rappresentava i big della DC campana: dal fondatore Antonio Gava a pezzi grossi come Paolo Cirino Pomicino ed Enzo Scotti. A volte le correnti si identificano semplicemente col nome del leader e, quando Matteo Renzi era segretario del PD, tra i Dem circolavano senza nemmeno troppa segretezza documenti che suddividevano ulteriormente la corrente tra renziani della prima ora e renziani della seconda ora. Ovviamente, la primogenitura conferiva uno status superiore rispetto ai cadetti, che si erano accodati solo in seguito.

Dopo la scissione che ha partorito Italia Viva, molti dei seguaci di Renzi hanno preferito rimanere nel Pd e attualmente fanno riferimento a Base Riformista, un nome più riferito alla collocazione politica che alla personalità dell’attuale capo (Lorenzo Guerini).

Comunque le si chiami, le correnti vengono spesso additate come l’origine di ogni male della politica. Tale giudizio è certamente ingeneroso. Almeno in linea teorica, il fatto che anche all’interno dello stesso partito ci si possa sentire accomunati da valori riconosciuti (ad esempio sui diritti civili o sulle diverse idee di sviluppo economico) è un fattore arricchente per la democrazia. Il problema nasce quando le varie correnti non sono altro che potentati più o meno estesi, che servono solamente a garantire il potere dei caccicchi e dei loro fedelissimi. Elly Schlein ha dichiarato solennemente di voler depurare il Pd da questa mentalità, ma il suo partito non è certo l’unico a esserne intriso. E non da oggi.