In Italia sono sempre di più i digital workers ma non sono tutelati a livello contrattuale.
Una forma di lavoro che grazie al progresso tecnologico sta prendendo piede. Si sta evolvendo dando la possibilità sempre a più persone di lavorare da remoto. In Italia i digital workers, coloro che lavorano tramite piattaforma digitale, sono 570.521. Per 274mila di queste, il lavoro online è la propria attività principale.
Sono numeri che ha presentato il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, in audizione in commissione Lavoro della Camera sulla direttiva Ue relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro dei cosiddetti “platform workers”. Questo tipo di lavoro si divide in due categorie: le “location based platforms” ovvero quelle che si svolgono in ambiti fisici territorialmente localizzati. E le “Web based platforms”, ovvero quelle che si svolgono e si scambiano interamente sulla rete.
Secondo un’indagine Inapp/Plus del 2021, “è presumibile, sulla base delle tendenze evolutive dei fenomeni sopra menzionati, che tali forme di lavoro si espandano in futuro». Un aspetto fondamentale che è stato portato alla luce è che però nonostante siano in costante aumento questi lavori sono caratterizzati dalla precarietà dei rapporti contrattuali. Ben il 31% lavora senza contratto, un lavoro di collaborazione che non garantisce alcuna continuità. Solo l’11% ha un contratto di lavoro subordinato.
La precarietà di chi lavora online
Il presidente Fadda sottolinea che allo stato attuale, la situazione lavorativa e la sua continuità è talmente precaria. Valutata da un algoritmo che “ciascun lavoratore può essere di punto in bianco disconnesso dalla piattaforma o relegato a incarichi meno remunerativi a pura discrezione dell’algoritmo stesso.”
Per questo bisogna intervenire. “Come si può immaginare che persone comprese tra i 30 e i 50 anni di età, età in cui si crescono famiglie, si stabilizzano assetti abitativi, si consolidano posizioni sociali, siano costrette a vivere sotto l’incubo della totale precarietà?
Questa condizione viene aggravata dal fatto che il 50% dei digital workers hanno il lavoro online come unica fonte di lavoro e di reddito. Solo il 12% dichiara di aver lavorato in questo modo per ottenere semplicemente un reddito aggiuntivo.