Renato Brunetta sostiene che la parità di genere nel mercato del lavoro può stimolare la crescita economica e ridurre il rischio di povertà.
Renato Brunetta, presidente del Cnel, ha sottolineato l’importanza della parità di genere nel mercato del lavoro. Le disparità tra uomini e donne e la violenza economica hanno di conseguenza un impatto significativo sulle performance economiche di un paese: “Dove c’è minore disuguaglianza di genere, il reddito pro-capite è più elevato”, dichiara.
Brunetta: “Un motore per l’economia”
Affrontando il tema della disparità tra uomini e donne sul lavoro, Renato Brunetta ha sostenuto che la parità di genere nei diritti e nelle opportunità si associa a livelli più alti di sviluppo economico. Per il presidente del Cnel, migliora la mobilità sociale, promuove l’inclusione e stimola la crescita attraverso un migliore utilizzo delle competenze e una migliore allocazione della forza lavoro.
L’ex ministro della Pubblica Amministrazione ha inoltre evidenziato la necessità di attuare nuove riforme, rivedendo il sistema di tassazione e i trasferimenti alle famiglie per non scoraggiare l’inserimento lavorativo delle donne e promuovere tipologie di organizzazioni del lavoro più flessibili che tengano conto dei carichi familiari sia per uomini che per donne.
Parità di genere e resilienza economica
Inoltre, Brunetta ha affermato che la parità di genere è una “fantastica medicina” per aiutare le economie a riprendersi più rapidamente dagli shock, poiché rafforza la resilienza e stimola la produttività. Questo concetto può anche ridurre il rischio di povertà e rendere le donne più resilienti nell’intraprendere percorsi di uscita dalla violenza domestica.
Renato sottolinea infine l’importanza del ruolo simbolico della premiership di Giorgia Meloni nel ridurre il “soffitto di cristallo”. Ha osservato che, nonostante alcuni progressi, la rappresentanza femminile nella politica e nel management è ancora insufficiente.
Brunetta evidenzia come oggi “vediamo ancora una forte sottorappresentazione femminile. Basta pensare all’Università e alla Sanità, settori a maggioranza femminile, ma con poche ordinarie e pochi primari (superano di poco il 20%)”.