Sergio Mattarella contro gli insulti a Liliana Segre: parole forti e conseguenze pesanti, cosa rischiano gli odiatori della rete.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso una ferma condanna nei confronti degli insulti rivolti a Liliana Segre, senatrice a vita e sopravvissuta all’Olocausto. Nel suo intervento durante le celebrazioni per il Giorno della Memoria al Quirinale, il Presidente ha sottolineato la gravità del fenomeno, evidenziando i rischi che i social media possono rappresentare quando utilizzati per diffondere odio e violenza.
Mattarella difende Liliana Segre: “Ignobili insulti razzisti”
“È doloroso e inaccettabile che vi siano ignobili insulti razzisti alla senatrice Segre, su quei social media che sono nati come espressione di libertà e che rischiano invece, sovente, di diventare strumento di violenza e di negazione di diritti”, ha dichiarato Mattarella.
Ha poi aggiunto: “Occorre mettervi un argine. Sono reati gravi, che vanno perseguiti a tutela della libertà e della giustizia”.
Gli insulti rivolti a Liliana Segre sui social media non solo rappresentano un’offesa morale, ma costituiscono un vero e proprio reato.
La diffamazione a mezzo social è punita dalla legge italiana con risarcimenti che possono superare i 1.000 euro. In presenza di aggravanti, come l’odio etnico o razziale, la pena può essere aumentata fino al 50%, arrivando a cifre superiori ai 1.500 euro.
Secondo gli esperti di giurisprudenza, i social media hanno creato nuovi scenari per il reato di diffamazione, rendendo necessario un approccio rigoroso per tutelare le vittime e dissuadere i potenziali autori.
I precedenti: le denunce della senatrice Segre
Negli anni, Liliana Segre non ha esitato a denunciare chi ha cercato di colpirla con messaggi di odio.
Lo scorso 23 gennaio, il pubblico ministero di Milano, Nicola Rossato, ha chiuso le indagini su 12 persone accusate di diffamazione dalla senatrice.
Tra gli accusati spicca anche il nome di Gabriele Rubini, noto al pubblico come chef Rubio, per il quale è stata però chiesta l’archiviazione.