“L’Egitto vuole collaborare”, affermano i genitori di Giulio Regeni chiedendo che venga iniziato il processo.
Durante un interno a Propaganda Live su La 7, Paola Deffendi e Claudio Regeni, i genitori di Giulio – il ricercatore 28enne morto misteriosamente a Il Cairo nel febbraio 2016 – hanno chiesto se si inizi con il processo. “Vogliamo che ci sia una elezione domicilio in Italia e che il processo possa svolgersi in Italia per dare agli italiani una prospettiva futura di giustizia”, dicono a gran voce.
Nelle settimane scorse, il il Tribunale aveva bloccato il caso perché non si trovano i quattro indiziati, gli agenti dei servizi segreti egiziani sospettati delle torture e dell’omicidio di Regeni. Il 3 aprile, infatti, la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani erano stati chiamati a testimoniare, ma “non verranno. Invitiamo tutti a farci compagnia prima di entrare dentro. Se la premier e il ministro hanno un ripensamento, li accoglieremo volentieri”, dicono i genitori di Giulio.
L’appello dei genitori
Claudio e Paola lottano per la giustizia nei confronti del loro figlio che non ha fatto ritorno a casa il 25 gennaio, ma che è morto al Cairo dopo essere stato torturato “per nove notti e nove giorni”. “Non è facile e sono 7 anni abbondanti che dobbiamo chiedere verità e giustizia. Ormai una parte della verità l’abbiamo capita e vogliamo un processo”, afferma la madre.
Claudio Regeni poi spiega che adesso, con la riforma Cartabia, sarebbe possibile l’elezione di domicilio in Italia per i quattro funzionari ritenuti responsabili del delitto di Giulio. I due pretendono l’inizio del processo: “Dal 7 novembre scorso, quando il premier Giorgia Meloni è andata alla Cop27, continuiamo a sentire che l’Egitto vuole collaborare, rimuovere gli ostacoli. Ci siamo chiesti quali ostacoli vuole rimuovere e a volte ci siamo chiesti se siamo noi l’ostacolo”.
Poi aggiungono che “il Governo dovrebbe insistere su questa elezione di domicilio che permetterebbe l’inizio del processo. Il quadro è complesso, e non sappiamo che collaborazione il presidente Al Sisi ha promesso ai nostri politici. Il nostro passaporto ci porta in tantissimi paesi, ma non è detto che ti riporta a casa”.