La corsa al Quirinale dei candidati più forti è frenata da capitani poco coraggiosi e spaccature interne.
La doverosa premessa è che quattro fumate nere nella grande cerimonia dell’elezione del Presidente della Repubblica non è uno scandalo. Quello che non si può non evidenziare è che alla luce del contesto, ossia emergenza sanitaria, emergenza bollette e crisi ucraina, la speranza era che la partita per il Quirinale si chiudesse almeno alla quarta votazione. Invece la partita resta bloccata.
Una partita a scacchi senza fine. I leader arroccano. Nessuno vuole prendersi il centro della scacchiera. I candidati forti ci sono solo che non ci sono leader che hanno il coraggio di portare il nome in Aula.
Casini e la strada tortuosa che porta al Quirinale: la clamorosa retromarcia e la quarta fumata nera
Il 26 gennaio il Presidente della Repubblica era Casini. E su questo pochi avevano dubbi. Lo stop è arrivato da Giorgia Meloni che con il voto su Crosetto – un grandissimo successo – ha messo Salvini alle strette mostrando i muscoli.
E Salvini è in una situazione complicata. Vuole tenere insieme la coalizione di Centrodestra e vuole tenere insieme la maggioranza di governo. Solo che per uscire dalla fase di stallo bisogna prendere una decisione. Bisogna scegliere il campo. Serve coraggio.
Coraggio che non hanno avuto neanche i giallorossi, perché in quattro votazioni non hanno portato neanche un nome al voto. Probabilmente per paura di contarsi, perché lo spettro dei franchi tiratori aleggia sul Pd e sul Movimento 5 Stelle.
Casellati sì, poi no, poi forse
Sempre in area Centrodestra si è parlato con una certa insistenza della Presidente del Senato, Casellati. Fratelli d’Italia avrebbe gettato il nome nella mischia per andare alla conta, la proposta non è passata. Risultato della votazione, schede bianche, nulle, Amadeus, Zoff e Mattarella, unico punto fermo per buona parte dei grandi elettori. Se non avesse detto in tutte le lingue del mondo di non essere minimamente interessato al secondo mandato.
Draghi: tutti lo amano e nessuno lo vuole (al Quirinale)
L’altro nome forte è quello di Mario Draghi. Il suo è un nome che non può essere bruciato. Innanzitutto perché è il Presidente del Consiglio dei Ministri, poi perché è il premier della larghissima maggioranza che abbraccia quasi tutte le principali forze politiche.
Se Draghi non prendesse i voti di Leu, Pd, M5S, Lega e FI ci sarebbe un evidente problema sulla tenuta del governo. E l’Italia non può permettersi di bruciare Draghi. Un contro è accompagnarlo al Colle, un altro è buttarlo fuori dalla finestra. Il nome di Draghi esce solo se ci sono certezze sui numeri. Certezze non ce ne sono e andiamo avanti con Mattarella, schede bianche, Claudio Baglioni e compagnia cantante.