Il racconto di Silvia Romano agli 007: "Ora mi chiamo Aisha"
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Il racconto di Silvia: “Nessuna violenza. Ora mi chiamo Aisha”

Silvia Romano

Il racconto di Silvia Romano agli 007: “Ho pianto per un mese. Mi hanno detto che non mi avrebbero uccisa”.

ROMA – Un interrogatorio di quattro ore nelle quali è avvenuto il racconto nei dettagli di Silvia Romano agli 007 della sua prigionia. “Il primo mese – ha detto la giovane cooperante citata dal Corriere della Seraè stato terribile. Ero disperata, piangevo sempre“.

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Poi con il passare dei giorni si è tranquillizzata: “Mi hanno detto che non mi avrebbero fatto del male, ho chiesto di avere un quaderno, sapevo che mi avrebbe aiutata“. E alla psicologa dell’ambasciata a Mogadiscio ha rivelato: “Ora mi chiamo Aisha“.

Il percorso della conversione

Nell’interrogatorio Silvia è ritornata anche sul percorso della conversione all’Islam che è stato volontario: “Parlavano in una lingua che non conoscono, credo in dialetto. Uno di loro, solo uno parlava un po’ di inglese. Gli ho chiesto di avere anche il Corano“.

Una richiesta che molto probabilmente ha dato vita al suo avvicinamento alla religione islamica: “Sono sempre stata chiusa nelle stanze. Leggevo e scrivevo. Ero certamente nei villaggi, più volte al giorno sentivo il muezzin che richiamava i fedeli per la preghiera“.

La prigionia

Stavo sempre in una stanza da sola – ha raccontato Silvia – dormivo per terra su alcuni teli. Non mi hanno mai violentata o picchiata. Non sono stata costretta a fare nulla quando entravano avevano sempre il volto coperto“.

E sui covi ha ammesso: “Venivo spostata ogni tre, quattro mesi. A quel punto non avevo più paura. Il viaggio per arrivare in Somalia è durato almeno un mese. Abbiamo fatto molti tratti a piedi, attraversato un fiume. Con me c’erano degli uomini, nessuna donna. Camminavamo anche per otto nove ore di seguito“.

Silvia Romano
Fonte foto: https://twitter.com/GiuseppeConteIT

La liberazione

Sui video la giovane ha precisato: “Mi hanno fatta girare sei filmati”. E l’ultimo il 17 gennaio, forse il decisivo per la liberazione. La comunicazione alla ragazza gli uomini di al-Shaabab l’hanno data una settimana prima dello scambio avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2020. “Ti liberiamo“, queste le parole dei carcerieri nei primi giorni di maggio.

fonte foto copertina https://twitter.com/GiuseppeConteIT

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ultimo aggiornamento: 19 Marzo 2021 14:23

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